IL SIGNIFICATO SIMBOLICO DELLA FONDAZIONE DI ROMA – di Ettore Vellutini

La Prima impresa: la Fondazione della Roma Quadrata e il Nome Segreto di Roma

Senza tornare sul ricco simbolismo iniziatico rappresentato dal Mito intorno alle origini di Romolo e Remo, simbolismo oggetto di un articolo interessante e ben documentato scritto da Francesco Parisi in precedenza su queste stesse pagine, vorrei riprendere la storia della fondazione di Roma da dove Francesco l’ha lasciata, seguendo l’idea che il racconto della fondazione non è solo un fatto mitico creato dal sovrapporsi di varie leggende, ma la trasmissione di un evento metafisico che, lungi da essere lontano nel tempo, ci riguarda ancora oggi più di quanto potremmo mai immaginare.

21 secoli fa nel 753 a.c. secondo Varone Plutarco Tito Livio, e secondo oltre 200 autori antichi, avviene, durante la festa della pariglia, la Fondazione di Roma. Le pariglie sono le feste dei pastori, ancora una volta nel contesto mitico ritorna il simbolo del pastore come protagonista di una fondazione o più in generale di una Teofania[1]. Ma nello specifico questi pastori che cosa facevano durante queste festività? Il rituale delle pariglie consisteva nel saltare dei fuochi accesi; secondo le tradizioni popolari questi riti servivano a propiziare la fertilità delle capre.
In realtà il rito del salto dei giovani guerrieri attraverso il fuoco è un rito di passaggio antichissimo di tipo misterico e iniziatico, che si può rintracciare nelle più antiche comunità di ceppo indoeuropeo.
Il salto nel fuoco suggerisce l’idea di una preliminare purificazione e di un passaggio necessario, da una parte all’altra di una sponda o di una terra, attraverso l’azione di un fuoco purificatore. Bisogna effettuare un passaggio attraverso il fuoco per dare inizio ad un’impresa di tipo realmente spirituale, bisogna che l’uomo vecchio lasci il posto all’uomo nuovo.

Ma prima di poter dar luogo ad un atto di fondazione a carattere Sacro era necessario sapere quale sarebbe stato il candidato scelto dalla volontà divina, chi sarà chiamato ad assolvere una tale missione Romolo o Remo? Secondo la leggenda Romolo vuole fondare la Città sul Palatino, Remo la vuole fondare sull’Aventino. Per poter decidere chi e dove sarebbe sorta la città, fu interpellato un Augure, il sacerdote specializzato nella tradizione religiosa Etrusca prima e romana poi, all’interpretazione della volontà degli Dei o “auspici”. L’Augure viene sempre rappresentato vestito delle classiche vesti bianche e con in pugno il Lituus, lo strumento sacro utilizzato per dividere il cielo, tracciare i confini del Templum Celeste. Secondo i racconti, i sacerdoti si recarono uno sul Palatino, dove aspettava Romolo raccolto in preghiera e con il capo velato e uno sull’Aventino luogo prediletto da Remo. Gli Augure esaminano entrambi i fratelli, poi volgendosi con gli occhi a scrutare il cielo che avevano preliminarmente diviso, dopo aver pronunciato le parole di un rituale antichissimo, attesero che gli Dei palesassero la loro volontà.

L’augure secondo la tradizione etrusca divideva con il Lituus il cielo in sedici parti, alcune di queste erano fauste, cioè fortunate, altre erano infauste o sfortunate. Quindi il momento, la specie e la direzione che percorrevano gli uccelli nel cielo così diviso, indicavano la forza e il carattere del segno che esprimeva la volontà divina.

Quando il sacerdote osservò il cielo alle spalle di Remo vide gli uccelli arrivare da Sud, una direzione infausta, vide sei uccelli volare nel cielo. Quando l’Augure sul Palatino esplorò il cielo per guardare il segno riservato a Romolo, vide gli uccelli arrivare da nord-est direzione favorevole, contò dodici avvoltoi volare nel cielo, numero e specie propizia e solare per eccellenza, quindi l’eletto per volontà divina, l’Augusto è Romolo.

Il termine Augusto ha un significato molto particolare nella religiosità romana, noi comunemente lo associamo al nome che gli imperatori assumeranno da Ottaviano in poi, ma in realtà il termine Augusto rappresenta una qualità o meglio una particolare dignità riservata ad un luogo o ad un personaggio speciale. L’Augusto indicava un consacrato, cioè un uomo separato dal mondo profano e riempito o meglio abitato dalla presenza di Dio. L’uomo prescelto dal Nume veniva transustanziato, cambiava natura non era più lui, la sua sostanza non era più umana ma simile a quella divina. Questa discesa del divino nell’umano lo rendeva degno di fondare un epicentro di spiritualità, l’Omphalos o centro del mondo.

Ricevuta la consacrazione o la discesa della presenza particolare del Nume nel prescelto, Romolo Augusto deve consacrare, cioè conquistare e separare dal mondo profano, uno spazio sacro riservato alla divinità, dove insediare la presenza Divina. Per questo Romolo si volge verso il colle sacro che ha scelto, il Palatino. Il 23 marzo giorno del tubilustrium, festa della purificazione che seguiva i cinque giorni sacri a Marte, Romolo abbigliato da sacerdote e impugnata una lancia di corniolo la scaglierà in direzione del colle prescelto.
Secondo i miti della fondazione, quando la lancia si conficcò nel terreno divenne un albero vivo: racconta Tito Livio che il corniolo conficcatosi nel terreno mise miracolosamente radici e fiorì, intorno a quell’albero che visse molti secoli i romani costruirono un tempio che fu molto venerato dalla gens quirina. Il corniolo è una pianta caratterizzata da un legno durissimo e ricco di profondi significati simbolici, rappresenta anche un potere nascosto, cioè un potere invisibile, una forza che si manifesta quando le condizioni si fanno adatte. Questo atto drammaturgico, mosso da un intento spirituale, sembra rappresentare un atto di esorcismo, è quindi un atto di conquista tipico dell’espressione di un potere spirituale dal carattere sacerdotale e guerriero.

Poi sempre secondo la leggenda, il prescelto Romolo, manderà a chiamare i sacerdoti etruschi, i Lucumoni, che gli insegneranno i misteri della fondazione di una Città e gli faranno dono dei libri Rituales, i libri sacri che i sacerdoti etruschi si tramandavano gelosamente, libri che custodivano i rituali che avevano il potere di provocare la discesa della divinità nel luogo di elezione.
La trasmissione dei libri, rappresenta simbolicamente, il passaggio della Sapienza Sacerdotale Etrusca a colui che avrebbe fondato un nuovo epicentro di spiritualità.
Romolo si presenta come il rinnovatore del precedente ciclo di manifestazione, ciclo rappresentato dai sapienti etruschi, che stava andando incontro al suo ineluttabile tramonto per lasciare il posto al nuovo ciclo rappresentato da Roma.

Asceso sulla cima del Palatino, Romolo si volge verso Albano, lì dove sorgeva l’Antico Tempio di Giove, perché vuole ottenere l’Augurium, cioè la consacrazione del Palatino attraverso la traslazione della presenza divina di Giove da Alba Longa, la città fondata dal suo Avo Ascanio, dove sorgeva il Tempio di Iupiter Latiaris, massima divinità dei latini. A questo punto, rivolto verso la casa di Giove, il futuro Re di Roma traccia un solco, delimitando lo spazio sacro, e lo fa utilizzando un aratro trainato da due buoi, più esattamente da un Bue e da un Vacca, maschio e femmina, uno bianco e uno nero.

L’aratro era forgiato nel Bronzo, perché l’aratura del Re non fu l’atto di un contadino ma quella di un sacerdote che fa il Sacro.
Circoscrivendo il Pomerium Romolo alza l’aratro in prossimità di tre porte, solo tre porte per entrare ed uscire, il resto è interdetto, invalicabile.
Il Pomerium tracciato da Romolo ha una suggestiva forma trapezoidale, quasi fosse un contenitore, una coppa che aveva lo scopo di accogliere la presenza di Giove e il suo Augurium come in un contenitore, in un’arca pronta a custodire il mistero della Presenza Divina.

Fatto questo, crea e consacra la città, di fatto fonda un Tempio.
Plutarco scrisse di questa fondazione con dovizia di particolari, vale la pena citarlo per intero nella sua descrizione di quel momento: “Per prima cosa Romolo chiamò dall’Etruria degli esperti, che gli spiegarono e insegnarono minuziosamente il cerimoniale prescritto dai sacri come se si trattasse di un rito magico. Quindi fu scavato un fosso rotondo, del perimetro dell’attuale Comizio, e vi furono riposte le primizie di tutte le cose sancite dalla natura come necessarie alla vita umana. Poi ciascuno portò una manciata di terra del paese dal quale proveniva, e la gettò tra le primizie confondendole tutte assieme. Indi, preso il fosso, che designano con il nome usato anche per l’Universo, e cioè mundus, come centro di un cerchio, tracciarono in giro il perimetro della città”[2]. Quindi da questo cerchio traccerà un perimetro perché quello è l’Omphalos, ombelico al centro del mondo, il centro in cui discende e poi si irradia la presenza divina, luogo dove la Divinità va ad abitare, immagine del Cosmos che si contrappone al Caos, è il Tempio.

È a quel punto che Romolo pronuncia i Nomi segreti della Città. Abbigliato come un sacerdote etrusco impugnando il Lituus compie l’atto Sacro per eccellenza “Suona e Canta”. Romolo portando alle labbra il Lituus suonerà la nota sacra, perché il Lituus non era solo un bastone sacerdotale necessario a dividere cerimonialmente lo spazio celeste, ma era anche uno strumento musicale che emetteva delle note, e lui suonerà delle note misteriose dal Palatino pronunciando e cantando il Nome profano della Città Roma, nome che tutti conosciamo, poi il Nome Sacro ed infine il Nome Misterioso, quel nome che era vietato pronunciare o rivelare.

Quando questo nome si poteva pronunciare? Soltanto una volta l’anno, quando si celebravano i fasti della ricorrenza della fondazione della città, tra i suoni dei cembali, il battere incessante dei tamburi ed il caos prodotto dal popolo Romano acclamante il Rex Sacrorum, il Pontefice massimo che pronunciava sicuro di non essere ascoltato da nessuno, il Nome Misterioso di Roma.


Questo rito ricorda da vicino il medesimo rituale che il Grande Sacerdote svolgeva a Gerusalemme durante la festa dello Yom Kippur, festa della purificazione, giorno in cui tra il clamore assordante dei cembali e del popolo festante veniva pronunciato il Gran Nome segreto del Tetragrammaton, il nome di Dio di quattro lettere.
Perché Roma aveva un Nome segreto? Perché il Nome era considerato il luogo del Nume, rappresentava la presenza reale e divina dell’intelligenza celeste che abitava e vivificava la Città Tempio. Conoscere il Nome del Nume tutelare di una città, dava la possibilità di entrare in relazione con la divinità stessa; questa conoscenza metteva in grande pericolo l’esistenza stessa dell’Urbe. Questa concezione, che fa trapelare la conoscenza di una ben precisa dottrina teurgica sull’uso dei nomi divini, viene tramandata dalla storia romana attraverso il velo del mito nel racconto della guerra contro i Veiensi.

Roma conobbe tra i primi e più acerrimi nemici alcune città stato etrusche e tra queste la fiera e potente città di Veio. Veio combatterà una guerra contro la nascente potenza romana che durò trenta anni. Stranamente il racconto della guerra contro Veio ha più di qualche punto in comune con l’Iliade di Omero. Ma come i romani ottennero la vittoria contro gli acerrimi nemici Veiensi? Si racconta che il console Marco Furio Camillo ordinò di scavare un tunnel sotto le mura, un tunnel che sbucasse sotto il tempio di Giunone, Dea protettrice di Veio. Scavato il passaggio mandò un gruppo di sacerdoti e soldati a rapire la statua della Dea onde portarla in solenne processione a Roma e promettendo alla Dea stessa che se avesse abbandonato Veio nelle mani romane, gli sarebbero stati resi grandi onori e sarebbe entrata a far parte degli Dei protettori della Città. Sempre secondo la leggenda Giunone si compiacque dei romani e abbandonando la città ne decretò rapidamente la sconfitta.

Questa storia rappresenta, molto probabilmente, una cerimonia che i romani svolsero dopo aver scoperto i nomi misteriosi con cui invocare la dea tutelare della Città, costringendola in qualche modo a lasciare la sua difesa. Queste cerimonie, in cui i sacerdoti romani evocavano in virtù dei Nomi Sacri le divinità delle città da assediare, erano abbastanza diffuse nella ritualità guerriera romana; ci sono arrivate testimonianze delle medesime cerimonie svolte prima di attaccare Cartagine, quando il Generale Scipione cantò il carme rituale sotto le mura della città assediata, ed in diverse altre occasioni.

Anche nella tradizione segreta di Israele si diede grande importanza alla scienza segreta del Nome e dei signori del Nome, i Baal Shem, conosciuti in occidente attraverso le traduzioni dei primi testi cabalistici apparsi in Andalusia introno al XII secolo. È per questo motivo che il nome di Roma sarà custodito in grandissimo segreto.
Ci fu un tribuno della plebe, Valerio Sorano, che rivelò il nome segreto e per questo venne crocefisso, proprio perché una tale profanazione metteva in pericolo l’esistenza stessa della Patria.

Quindi tracciare e fondare la città Tempio, la Roma Quadrata, per accogliere la Divina presenza del Dio fu la prima impresa di Romolo, a cui seguirono altre due imprese la traslazione del fuoco Sacro e la divisione dello spazio e del Tempo.
“Roma è così il “tempio”, la sede terrena di un nuovo Centro di irradiazione, il luogo segreto dove si trasferisce la Sapienza Arcaica, ritiratasi dagli antichi centri iniziatici delle civiltà in fase di sgretolamento, dalle “terre inaridite”, per approdare con Enea in una nuova terra, la “terra vergine”, la feconda “terra nera” o “terra di Saturno”, l’Italia, la “terra dei tori”, per un nuovo giorno di manifestazione. Romolo, figlio del Sole (Ilion), portatore del Lituus, lo scettro etrusco, è il “Raggio di Sole” che feconda la terra nera di Saturno, il primo Re d’Italia, il fondatore di Roma.”[3]


[1] cfr. Commento al Vangelo di Matteo di Origene, Ed. Città Nuova.
[2] “Vita di Romolo” Plutarco.
[3] “La Vergine dell’Infinito” Alessandro Benassai

IL MITO DELLE ORIGINI DI ROMA – di Francesco Parisi

Uno dei più affascinanti, complessi ed elaborati miti della storia antica è senza alcun dubbio quello che si riferisce alla fondazione di Roma.
L’antica tradizione religiosa romana infatti non si limita a descrivere gli eventi contemporanei con il mitico solco, il famoso pomerium, tracciato da Romolo il 21 aprile del 753 a.C., bensì ha consegnato alla memoria perenne anche tutta una serie di racconti sulle vicende che precedettero la fondazione della Città Eterna e dietro il cui ricchissimo velame di simboli si nascondono i dettami e le basi della dottrina esoterica di Roma.

È certamente molto nota la leggenda secondo la quale Romolo e il fratello gemello Remo furono i discendenti per linea di sangue di Enea, nipote di Priamo e principe troiano, il quale, in fuga dalla distruzione di Troia per mano degli Achei, capitanati dal Re di Micene Agamennone, approdò in Italia per poi stabilirsi nell’attuale Lazio.
La guerra di Troia, narrata nell’Iliade di Omero, rappresentò un vero e proprio scontro di civiltà e di concezioni religiose. Nell’Iliade venne scritto l’ultimo capitolo di una guerra combattuta per secoli in Europa e in Asia Minore e che vide lo scontro tra una visione guerriera e maschilista propria dei popoli invasori indoeuropei ed una concezione sacerdotale, basata sul culto della Grande Dea tipica delle popolazioni autoctone e preesistenti.

Questa tensione bipolare, che il fondatore dell’Associazione Archeosofica, Tommaso Palamidessi, definisce nel Quaderno “La Costituzione Occulta dell’Uomo e della Donna” come il dualismo della manifestazione creativa, costituisce la dialettica dell’universo, una delle leggi fondamentali che ne regolano l’esistenza. Si pensi come ogni cosa appaia basata su una struttura bipolare: il giorno e la notte, il maschio e la femmina, il caldo e il freddo, il Bene e il Male, tutto è organizzato secondo un’alternanza che richiama il movimento dei piatti di una grande Bilancia Cosmica. Ogni avvenimento oscilla ora verso un estremo ora verso un altro e, come insegna la fisica, è proprio questa differenza di potenziale che genera l’energia e lo sviluppo della vita.
Presso le mura di Ilio, altro nome della città di Troia, si scontrarono due opposte visioni del mondo, due principi cosmici: uno solare e l’altro lunare.

Gli Achei, antenati dei Greci, furono i portavoce di una simbologia olimpica, uranica, solare e maschile. Le divinità principali del loro pantheon erano tutte maschili e loro stessi si ritenevano un popolo di guerrieri. Gli dei degli Achei abitavano sull’Olimpo, un regno immaginario e sopraelevato rispetto al mondo degli uomini mortali. I loro riti di iniziazione comunitari erano basati su cerimonie guerriere e violente. In generale, la loro concezione religiosa collocava il mondo spirituale esterno a quello mortale, quasi irraggiungibile. Una cittadella fortificata espugnabile sono dall’eroe-iniziato che in virtù di gesta epiche avrebbe potuto essere annoverato tra i semi dei, le stelle fisse del cielo. Probabilmente il mito di Ercole incarna al meglio tale idea.

I Troiani, viceversa, erano gli eredi di un culto lunare e tellurico. La leggenda sulle loro origini li identifica come i discendenti di Elettra, una delle sette Pleiadi, ed afferma che la città venne fondata dall’eroe Ilio dopo che egli trovò nelle profondità della terra una grande statua di legno che ritraeva Pallade, altro nome di Atena, Dea della Sapienza. I culti troiani si basavano su una spiccata vocazione sacerdotale e le loro divinità avevano attributi femminili e ctoni, per cui i nemici greci le associarono a Demetra e Venere. Erano scure in quanto associate alla Grande Madre Terra (come nel caso di Iside nell’Antico Egitto o delle Vergini Nere della cristianità). L’attributo scuro (ctonie) si riferisce a qualcosa di ancora non manifestato, custodito nel ventre della terra in attesa di venire alla luce. Il mondo spirituale, pertanto, andava ricercato nel profondo della propria interiorità, al fine di essere riscoperto e portato alla luce.

Dallo scontro di queste due visioni, circa 500 anni dopo, nascerà Roma erede e crogiuolo di entrambe le vie iniziatiche: quella guerriera e quella sacerdotale. I simboli di questa leggendaria nascita lo sottolineano in modo inequivocabile.
Il mito di Enea sottolinea come il Fuoco della Sapienza Arcaica, che aveva abbandonato gli antichi Templi Iniziatici, si trasferì a Roma per essere qui custodito e rinnovato, per poi essere diffuso nel mondo sino all’avvento del Cristianesimo. È il fuoco che Palamidessi nel 3° Quaderno di Archeosofia, “Gli Scopi dell’Ordine Iniziatico Loto+Croce”, definisce discontinuo e ardente simbolo di una tradizione iniziatica che si manifesta, a beneficio dell’evoluzione umana, in epoche e luoghi differenti ritirandosi nel suo epicentro quando i tempi non sono maturi.
Alessandro Benassai, riguardo l’etimologia del nome Enea e del suo ruolo fondamentale per l’apertura di un nuovo ciclo nella storia dell’umanità, così scrive nel testo “Il Tempio dei Misteri”:
Ain-eia, l’Eroe Troiano, fu messo in relazione con Ian-us, l’Esistente, arcaica divinità italica solare (Iuno = Sole) il cui culto si associava a quello di Iana = Luna (Diana). Jano è il governatore dell’inizio (e della fine) delle cose (da Giano=gennaio, il primo mese dell’anno), porta (Iano = Ianua) e guardiano delle porte, e passaggio (ianum), arco (ianus), arcata della porta del tempio. Iano ha per emblema la Chiave con la quale apre e chiude le porte dell’Iniziazione, Ianua Inferi e Ianua Coeli, le Porte Solstiziali: la Porta dell’Uomo e la Porta degli Dei”.

Enea, secondo il mito, portò con sé il Palladio ed il Fuoco Sacro di Troia che vennero poi tramandati ai suoi discendenti. Essi governarono prima la città di Lavinia, poi quella di Alba Longa e infine Roma il cui primo Rex, Romolo, istituì il collegio delle Vestali, le Donne Sacerdotesse Iniziate alla custodia del Sacro Fuoco. Il Tempio delle Vestali, la cui fondazione alcuni miti attribuiscono anche al re Numa Pompilio, aveva una forma circolare, simboleggiante l’Universo e la Madre Terra Ctonia. Nel centro del cerchio era custodito il Fuoco Perenne ed il “cerchio col punto” era, per molte culture (simbolo di Ra presso gli antichi egizi), la rappresentazione della potenza divina (il punto) che si manifesta nell’Universo creato (il cerchio) generando la vita, nonché emblema dell’Oro Alchemico.

Enea fu il ponte tra l’antica tradizione iniziatica, che ormai aveva concluso il suo ciclo, e quella che sarebbe nata dalle sue ceneri. L’eroe troiano abbandona Troia in fiamme unitamente agli amici più fidati, portando sulle sue spalle il padre Anchise e, per mano, il figlioletto Ascanio. Il mitico troiano reca con sé cioè il passato e il futuro. Anchise non arriverà mai a destinazione, morendo nei pressi dell’attuale Trapani. Al pari di Enea e in nello stesso periodo, Ulisse, fautore del celebre inganno che decretò la distruzione di Troia, intraprende anch’egli un viaggio, ma resterà solo e senza amici, esule per dieci lunghissimi anni a causa delle sue azioni e della sua intelligenza maledetta (simbolicamente sulle spiagge di Troia, Laocoonte, l’unico sacerdote e veggente troiano che ha compreso il tranello del cavallo di legno, viene divorato da due serpenti giganti simbolo dell’intelligenza orientata verso il male).

La tradizione riporta che Enea, una volta approdato in Lazio, come segno del favore divino e della madre Venere, rinvenne 30 porcellini figli di una scrofa dal colore bianco immacolato. Il numero 30, i giorni di un mese, è associato al ciclo lunare, così come il colore bianco è simbolo dell’antica tradizione ieratica e lunare. Nel Lazio Enea fonderà Lavinium in onore della moglie Lavinia figlia di Latino, eponimo del popolo che abitava quelle terre (i Latini erano organizzati in una confederazione di 30 città) e da cui Enea ebbe un altro figlio, Silvio Julo.
La parola Lazio deriva dal latino latere che significa “occultare, nascondere”, la terra nera che Virgilio definisce nell’Eneide (poema che narra proprio delle vicende dell’eroe troiano) con il termine di Saturnia Tellus o terra di Saturno. Nelle viscere di questa terra Enea nasconde il Fuoco di Troia, in attesa del futuro parto con la fondazione di Roma. Tale Fuoco è il simbolo della Tradizione Primordiale.  Palamidessi nel 1° quaderno della collana archeosofica, la definisce come “Tradizione universale e primordiale dalla quale sono sgorgate tutte le religioni e di cui le filosofie sono un’espressione minorata e parziale, che esprimono tutto il travaglio dell’umanità per avvicinarsi all’unità religiosa nel corso di migliaia di anni ad oggi. Questa Tradizione è costituita da un insieme di principi permanenti e trascendenti, la cui origine è solo in parte umana, e non sono suscettibili di evoluzione, appunto perché principi permanenti e trascendenti. Questa Tradizione è qualcosa che è stato trasmesso da uno stato anteriore del genere umano al suo stato attuale”.

Ascanio, figlio di Enea e della principessa troiana Creusa, 30 anni dopo (ritorna il numero 30) fondò la città di Alba Longa, dal latino albus che significa “bianco”, colore associato alla luna. Successore di Ascanio fu il fratello Silvio e i Re che governarono Alba Longa e le 30 città della confederazione dei “prischi latini” di cui essa era la capitale, sino alla fondazione di Roma, furono in totale 12.
Il 12, simbolo del ciclo perfetto, è un numero tipicamente solare: 12 sono gli Apostoli attorno a Cristo-Sole di Giustizia, 12 i Cavalieri di Artù, 12 i segni dello zodiaco o case solari, 12 i mesi dell’anno solare.

A premessa della nascita di Roma, Alba Longa appare come la città sacra, il regno dei 12 Re, sulle 30 città della confederazione. Essa è il simbolo di una realtà in cui la via solare e guerriera si è fusa con quella lunare e sacerdotale. Ma una nuova scissione è alle porte quando il Re Numitore (il nome di questo sovrano reca in sé la stessa radice del futuro Re-Sacerdote Numa Pompilio) viene spodestato dal fratello Amulio che fa uccidere tutti i suoi figli maschi e condanna l’unica figlia femmina, Rea Silvia, a prendere i voti come Vestale, in modo da impedirle di generare. Tuttavia, continua la leggenda, il Dio Marte si unisce alla Vestale e da questa unione nascono i gemelli Romolo e Remo. Marte era il dio della guerra mentre Rea Silvia incarna l’ideale sacerdotale. Anche in questo caso, si manifestano un principio guerriero ed uno ieratico, rappresentato dal Sole fecondatore della Terra Vergine. 

Il mito afferma che Amulio, saputo del parto di Rea Silvia, condanna a morte la donna e consegna a un servo i gemelli affinché siano uccisi. I piccoli, grazie alla compassione del servo, vengono abbandonati in una cesta sul fiume Tevere. Successivamente rinvenuti e allattati da una lupa, vengono nutriti da un picchio ai piedi di un albero di fico.

Ripudiare un figlio o un parente era un atto gravissimo all’interno delle antiche società delle popolazioni italiche, e in genere nel mondo antico, dove la famiglia costituiva un vincolo indistruttibile, una realtà sovraordinata a cui le singole coscienze si dovevano subordinare. Romolo e Remo sono il simbolo della nascita di una coscienza rinnovata, capace di individualizzarsi dal mare della storia, in grado di portare sulla terra un nuovo ordine, aprire il ciclo di un nuovo mondo. Al ripudio segue sempre un ordine di morte, si pensi a Mosè, abbandonato anch’egli in una cesta sul fiume Nilo, nel momento in cui l’ordine del faraone era quello di uccidere tutti i figli maschi, oppure a Gesù che l’ordine di morte di Erode non riuscirà a colpire. La condanna a morte è dunque il simbolo della resistenza e dell’opposizione che il vecchio mondo e la personalità oppongono al risveglio della coscienza, all’aspirazione al sacro e alla riscoperta dell’individualità. Ci si trova di fronte a quello che l’esoterismo e la Tradizione Archeosofica, con Palamidessi, definisce come Guardiano della Soglia “una delle più minacciose ed importanti esperienze di chi si cimenta nei lavori iniziatici, che gli antichi Filosofi dell’Ermetismo definirono «Fatiche di Ercole», giusto l’insegnamento esoterico della Mitologia greca”. Per coloro che vogliono approfondire questa tematica consiglio la lettura del testo di Tommaso Palamidessi “I Guardiani delle Soglie e il Cammino Evolutivo”.

Il Fiume Tevere, come il Nilo in Egitto o il Gange in India, e le acque in generale sono un simbolo dell’inconscio, personale e collettivo, dal quale bisogna emergere con forza e coraggio. È infatti necessario vincere, come scrive Palamidessi, quelle “forze oscure del cielo e della terra, talora nascoste nell’inconscio”. Sono anche il simbolo di un passaggio fondamentale per l’inizio di una nuova vita spirituale. Si pensi al battesimo d’acqua che il Cristo inaugura nel fiume Giordano.

Romolo e Remo vengono allattati da una lupa e da un picchio, entrambi animali sacri a Marte, ai piedi di un albero di fico. Questa pianta nell’Antico Testamento e nel Nuovo, presso gli Egiziani e numerosissime altre culture, ebbe un significato ben preciso e fu simbolo della Sapienza Divina. Romolo e Remo crescono all’ombra della Sapienza, della Tradizione Arcaica Primordiale, che in quel momento è tornata a manifestarsi per garantire l’evoluzione dell’umanità.
Romolo e Remo, al pari di Abramo che trionfò sui 7 Re di Edom, dell’avo Enea che sconfisse i Rutuli e di molti altri eroi, dopo aver affrontato una guerra personale e sacra riceveranno un premio. Si tratta del ritorno sul trono del legittimo Re Numitore, emblema del Principio Sacro e Ordinatore.

Presso gli antichi sacerdoti e iniziati della Roma arcaica, il ricchissimo simbolismo della leggenda iniziatica delle gesta di Romolo e del fratello Remo e l’uccisione di quest’ultimo, erano studiati e meditati, applicati nella pratica di un’ascesi sapienziale quotidiana, riservata a pochissimi eletti. L’uccisione di Remo da parte di Romolo, condizione necessaria per la fondazione di Roma ha, tra i vari simbolismi, il significato di auto-superamento, in virtù di un principio spirituale nuovo e superiore rappresentato da Roma.
La leggenda continua, ricchissima di simboli e significati esoterici, come la scelta del luogo e del nome di Roma, l’auspicio dei numeri 6 e 12, la fondazione della Roma quadrata e la scelta del suo Nome Segreto…ma questa è un’altra storia!!