IL BELLO E IL SACRO – di Massimiliano Galastri

APPUNTI SULL’ESTETICA DELL’ICONA

C’è poco da fare, le icone non mi sono mai piaciute. Soprattutto non ero riuscito a lungo a spiegarmi perché i primi cristiani optarono per un’arte che sembra così astratta e cruda.
Nell’Impero romano non mancavano esempi e modelli artistici capaci sia di un realismo più esatto (la prospettiva era conosciuta bene in pittura) sia modelli improntati al senso della magnificenza, o del meraviglioso o del simbolico.
Proprio non si capisce perché il Cristianesimo optò per una forma di rappresentazione artistica così strana, deformata, tesa, irrealistica fino a sfiorare l’irrazionale.

Si può capire l’arte simbolica e criptica delle catacombe, il loro necessario codice cifrato, la forza del segreto che emerge dai pochi, essenziali segni lasciati dai primi cristiani ai tempi delle grandi persecuzioni, ma non si può capire storicamente perché i pittori cristiani scelsero questo stile e questo codice originali anche quando il cristianesimo divenne religione tollerata prima e di stato poi.

La prima impressione davanti alla rappresentazione iconica è che sia stata dipinta da dei pittori incapaci. Si ha l’impressione che sia sostanzialmente una forma d’arte “brutta” perché l’artista non è stato capace di rappresentare e quindi di comunicare quello che sentiva, pensava e vedeva. Ma siamo sicuri che sia così?


Qual è la sottile differenza che passa tra ciò che è semplicemente bello e ciò che è bello e sacro? Abbiamo tanti esempi di arte sacra in tutto il mondo. Essa va distinta in modo radicale dall’arte semplicemente a carattere o tema religioso, commemorativo o devozionale.

Per capire l’icona bisogna prima percepire con chiarezza questa distinzione.
Chi ha visitato un po’ il mondo si sarà sicuramente imbattuto di persona in qualche monumento o vestigia del passato rimasti ammantati di questo magnetismo che emana dal mondo del Sacro.
Chi ha visitato dal vivo le grandi Piramidi e i loro segreti corridoi, chi ha potuto sostare a lungo e magari aggirarsi solitario dentro la cattedrale di Chartres, passeggiare nelle grotte di Ajanta o vedere calare la notte sulla cima di Le Monte S. Michel sa di cosa stiamo parlando.

In questi luoghi, così lontani tra loro in tutti i sensi, si parla la stessa lingua, che sussurra all’orecchio teso e predisposto all’ascolto lo stesso messaggio. Nel silenzio e il rispetto evocati da queste grandi costruzioni l’anima si pone in ascolto e riesce ad udire la voce dello spirito, il richiamo dell’Infinito.
Ancora non contempla, ma una nuova forma di udito si risveglia in questi posti. Infatti l’occhio dell’osservatore vede, ammira, riconosce questo arcano linguaggio ma se dovesse spiegarlo dovrebbe ammettere che non lo capisce, non sa interpretarlo né decifrarlo.

Tutti restano attoniti davanti alla manifestazione del Sacro che l’Arte (sacra) ben riuscita riesce ad evocare ed invocare nello spettatore. I simboli sembrano viventi, le geometrie studiate fino al millimetro permettono di imbrigliare forze invisibili e riversarle sullo spettatore.
Qualcuno (solo qualcuno purtroppo) di questi artisti, o maghi, o scienziati, ha delineato nei canoni scelti le leggi per mettere un mondo in presenza dell’altro. Per mettere il nostro mondo magicamente in comunione e alla Presenza del Divino.

Di bello ce n’è tanto nell’arte, e nel mondo un po’ dovunque. Il bello attrae perché ciò che è buono deve necessariamente essere anche bello. La bellezza è una delle vesti della bontà. Anche i Classici lo avevano capito. Ovviamente la Bellezza è uno degli attributi assoluti di Dio. Infatti la Kabbalà ebraica (ma anche la teologia Indù) non certo a caso, indica il cuore dell’uomo come il luogo dove la creature potrà contemplare Dio in tutta la sua bellezza.

Ma nel nostro mondo il bello si è frantumato e frammentato nella natura, è un frattale della vera bellezza, della bellezza integrale di Dio. Ed è diverso cercare di rappresentare il bello in qualche forma tracciando la sua effige in una porzione della natura (un fiore, un pesce…), dell’uomo (un ritratto), della vita (una vicenda storica) e di quant’altro, altra cosa è l’ambizione artistica più rischiosa e quasi titanica: cercare di dare un volto a Dio, di rappresentare il bello di Dio in forma grafica.
Dare un volto all’Assoluto e renderlo percepibile agli altri è praticamente un atto prometeico.

Non voglio esprimere pareri sulla teologia dell’icona: altri come Evdokimov, Soloviev, Florenskij e tanti altri sono stati fin troppo eloquenti e non c’è bisogno di aggiungere molto alle loro spiegazioni in difesa dell’arte iconografica. E prima di loro tutti i martiri che hanno difeso queste forme d’arte fino alle estreme conseguenze, testimoniano di quanto quest’arte avesse per loro un valore assoluto, indiscutibile.

Così come la Cattedrale, l’icona non si spiega (come si è soliti fare con le opere d’arte), l’icona si vive; la vive sia chi dipinge sia chi l’osserva. Altrimenti resta estranea, impenetrabile, fugge l’occhio profano che vuole violarla o meglio l’occhio profano fugge dalla presenza dell’icona.
Per apprezzare l’icona, è quasi inutile dirlo, bisogna avere la fortuna di poter vedere dal vivo una VERA icona.

Le vere icone sono diventare rare, poche sono scampate alla distruzione del tempo e degli uomini. Ma sono quelle che si devono andare a vedere se si vuole penetrare un poco il loro mistero.
Fruire davvero di un’icona non crea quel senso di indigestione che l’amante dell’arte prova dopo essersi goduto la visita qualche grande galleria o qualche famoso museo. Non ci sono sindromi di Stendhal davanti all’icona. Chi sa contemplare un’icona ne esce alleggerito, a volte intimorito, ma di sicuro l’appetito estetico dello spettatore non resta ingolfato, semmai stuzzicato.

La bellezza di Dio e del suo Mondo di cui l’icona vuole essere portatrice come tutte le forme di arte sacra è anche terribile.
Perciò a volte l’icona intimorisce lo spettatore.
L’icona è un’esperienza estetica da provare. Per capire ciò che scrivo non c’è altro da fare che imbattersi in una vera icona. Essa può intimidire o attrarre a seconda delle condizioni dello spettatore. Quasi come in fisica moderna, secondo il principio di indeterminazione, l’interazione tra spettatore e oggetto è vincolante e imprescindibile. Il risultato di quest’interazione è l’impressione estetica, tutta particolare, che resta scolpita a lungo nella coscienza dello spettatore stesso. Essa polarizza chi la osserva e le conseguenze sono estreme: davanti all’icona o si fugge o si rimane affascinati, attratti in modo lucido (non ipnotico) dalla sua aura.

Può sembrare troppo radicale dire che davanti all’icona o si fugge o si resta magnetizzati positivamente. Invece è così ogni volta che l’essere umano introduce se stesso alla presenza del Sacro.
L’icona riuscita è uno dei veicoli indiscussi di questa Presenza e pertanto l’uomo che incontra l’icona non può restare indifferente alla profusione del suo linguaggio che impatta violentemente l’occhio dello spettatore: è costretto ad accogliere il messaggio o a chiudere gli occhi e sottrarsi alla sua presenza.
Quindi le condizioni di chi guarda l’icona sono determinanti rispetto al risultato che ne viene fuori.

Carolina Franza

L’arte moderna e contemporanea ha cercato a lungo questo dialogo con lo spettatore, fino a perdersi. Ma essendo un dialogo incapace di intimità e di condivisione profonda con l’interlocutore, si è sempre interrotto fallendo lo scopo. Fino a diventare idiosincrasico, perdendo ogni valore semantico e facendo decadere l’arte ad una espressione monadica e solipsistica dell’artista. Un’arte che voleva essere libera e vicina allo spettatore si è imprigionata nell’anarchia e nel caos indeterministico.


L’arte attuale si è chiusa e allontanata dalla gente che ormai fugge e deride l’arte contemporanea, perché si è rifugiata nella torre di linguaggi incomprensibili fino a creare  forme d’arte prive di qualsiasi comunicatività e comunicabilità.

Au contraire, nella solitudine e nell’isolamento del monaco fu forgiata l’arte più intima, più ambiziosa, più comunicativa. Quella che pretende di mettere in comunicazione le anime tra di loro e le anime addirittura con il Divino e l’Assoluto. L’arte che vuole addirittura sottrarre l’artista che deve diventare un medium, trasparente come il cristallo, fino ad annullare la presenza stessa dell’artista per mettere in comunione la creatura con il suo Creatore. L’artista nell’icona scompare, deve essere solo il tramite di una manifestazione, di un’epifania.

Ma cosa “rappresenta“ allora l’icona? Nelle linee della sua geometria rigorosa, mai estranee o lontane dalle mani e dal cuore di chi le ha dipinte, nei volti penetranti, nel rovesciamento della prospettiva (voluto) ottenuto in modo da focalizzare il “punto di fuga” proprio al “centro” dello spettatore stanno alcuni dei segreti di quest’arte sublime. Solo alcuni.  Altri sono direttamente riversati nell’opera dalla mistica dell’artista che trasmette alla sua creazione tutto un carisma che si può tramandare all’opera d’arte solo se nell’artista ci sono delle condizioni esatte. Quali? Che in esso sia vivo e presente il soggetto che egli si accinge a dipingere.
Che sia il Cristo, l’Angelo, la Vergine o il Santo non fa differenza. L’iconografo può pretendere di creare una vera Icona solo nel momento in cui nella sua anima sono compresenti non le effigi, non le idee, ma la PERSONA che vuole dipingere.

Per questo giustamente Evdokimov parla di teologia della presenza nell’icona. Non di arte rappresentativa, figurativa, arte che vuole raffigurare qualcosa: l’icona vuole rendere presente allo spettatore il mondo dello Spirito e renderlo percepibile a tutti.
Pertanto l’icona è una delle forme d’arte più radicali, “scandalose”, ed estreme che esistono.
Quindi la sfida artistica nell’arte iconografica è immensa e non si può spiegare in un piccolo articolo.

Basterà dire in conclusione questo: l’icona non è un’arte simbolica o simbolista. Si può rappresentare un simbolo in forma bruta o in forma artistica. Ma esso resterà sempre un simbolo, e il suo valore di simbolo non verrà intaccato. Mentre l’icona, sebbene mai priva di un simbolismo intrinseco, non è un simbolo ma uno “specchio” in cui la Realtà stessa dei Mondi sovrasensibili riesce a far cadere qualche rapido barbaglio e rendercelo fruibile, percepibile, riesce a farci sentire la sua immensa Presenza senza mai violare il suo Segreto. Sempre Evdokimov chiamava l’Icona “specchio temporale dell’Eternità”. A ragione la definisce come uno specchio.

La teologia estetica dell’icona mi è sempre sfuggita  e con essa la possibilità di godere di queste opere d’arte finché non ho compreso una cosa: nell’arte profana la rappresentazione e la ricerca del bello è mirata a rappresentare ciò che si oppone alla Luce sia esso una forma e/o un colore. L’arte profana è innamorata di quella bellezza che vive di riflesso e pertanto rappresenta nei sui slanci migliori ciò che assorbe la Luce e non ciò che la sprigiona!
Nell’icona la pretesa artistica e la tensione artistica mira invece a rappresentare la Luce stessa quale essa è.
E con essa la Luce della Verità.

Tutto ciò che ostacola il propagarsi di questa Luce, vi si oppone, o delimita il suo potere trasfigurante tende ad essere soppresso dall’artista del sacro il più possibile. Ciò nei limiti della possibilità rappresentativa che comunque impedisce una rappresentazione perfetta, “diretta” della Luce stessa. La materia stessa limita lo slancio e l’intuizione dell’artista e i suoi mezzi restano goffi e poveri rispetto al suo bisogno di sprigionare questa luce interiore nel mondo.
Diciamo che l’icona si pone come l'”ombra della Luce”; rappresentata al meglio quando l’iconografo ha compiuto il suo capolavoro.

Invece nell’arte profana inconsapevolmente l’uomo raffigura ciò che si oppone alla libera propagazione della Luce e inevitabilmente si ritrova a ritrarre il deifugo, ovvero il vuoto: emerge allora il ritratto tragico, terribile, angoscioso della perpetua caduta nella materia della coscienza. Il ritratto assume i tratti del “volto dell’Abisso”.

Dietro la prospettiva dell’arte iconica è celato il segreto del “ribaltamento” della visione della natura attuale del cosmo e dell’uomo: questa natura intera, che da materializzata e materializzante deve diventare sotto l’influsso di Cristo spiritualizzata e spiritualizzante.
Tutta l’Estetica dell’icona si riassume qui: essa permette, accenna, bisbiglia, e a suo tempo vela, rivela e acconsente la visione della bellezza vera dell’Uomo totale trasfigurato nella bellezza della totalità di Dio.
L’icona è uno sguardo gettato nell’abisso dell’amore di Dio.

LE COSTELLAZIONI NORD BOREALI E LA DOTTRINA DELLA RISURREZIONE NEI MISTERI DEGLI ANTICHI EGIZI – di Alessandro Benassai

Le stelle che circondano il Polo nord ebbero una grande importanza nell’astrologia misterica dell’antico Egitto. Esse furono designate con il termine generico Mesket, specialmente quelle che rappresentarono Set assieme a sua moglie Ta-Urt, raffigurata sotto le sembianze di un Ippopotamo femmina, simbolo delle forze infere e tenebrose del male.ippopotamo dea
Queste stelle e le costellazioni ch’esse formarono sotto lo sguardo degli astrologi egizi, furono chiamate con il termine Set, nome della potenza tifonica del Caos primordiale.
Le costellazioni dette “circumpolari”, rimanendo sempre visibili nel cielo notturno dell’emisfero Nord, rappresentarono per gli Egiziani i giganteschi e insonni guardiani pieni d’occhi che costantemente vigilano il Polo a cui è ancorato il potere sovrumano che fa girare il mondo e rende immortali. barca solare di Ra
Questi mostruosi guardiani che non dormono mai, si oppongono con veemenza irresistibile a qualsiasi tentativo di profanazione e respingono l’anima disincarnata di chi non è degno, rigettandola nel “circuito esistenziale”, il divenire cosmico, la ruota stritolante del destino ch’essi stessi continuamente girano.
Set, secondo il mito narrato da Plutarco, divenne per i Greci il gigante Tifone, simbolo della forza turbolenta e distruttiva dei venti e dell’uragano.
tifoneFiglio della Terra e del Tartaro, era rappresentato come un essere mostruoso metà uomo e metà bestia. Per statura e forza sorpassava tutti gli altri figli della Terra: era più alto di tutte le montagne e la sua testa urtava contro le stelle. Quando stendeva le braccia una delle mani raggiungeva l’Oriente e l’altra l’Occidente e invece di dita aveva cento teste di draghi e dalla vita in giù era circondato di vipere. Il suo corpo era munito di grandi ali e i suoi occhi lanciavano fiamme. Persino gli Dei ne ebbero paura, eccetto Atena e Zeus, che dopo dura lotta a colpi di fulmine, lo schiacciò sotto l’Etna. Il fuoco e la lava che escono dal vulcano divennero così il simbolo delle forze infernali e demoniache vomitate da Tifone e ciò che rimase dei fulmini con i quali Zeus lo abbatté.Anubi
Il termine Mesket, usato per individuare le stelle dell’estremo Nord, non indica solo le forze della corruzione e della morte rappresentate da SetTifone, ma si riferisce anche ad un misterioso potere rigenerante che assicura dopo la morte una seconda nascita, o resurrezione dagli inferi, connesso con Anubi, a volte confuso con lo stesso Set, perché  Set e Anubi fanno parte degli stessi Misteri.
Così nel cielo boreale furono immortalati Set e la sua sposa Taurt  e lo stesso Anubi. Set fu rappresentato dalla costellazione della Zampa Anteriore (o “Coscia del Toro”, o “Toro”), formata dalle sette stelle dell’Orsa Maggiore; Taurt dalla costellazione dell’Ippopotamo, formata dalle stelle del Drago; Anubi, sotto forma di giovane Cane selvaggio (il Cane di Set), fu formato dalle stelle dell’Orsa minore.
ippopotamo costellazioneSet fu quindi identificato nella Coscia del Toro, simbolo della “potenza taurina”, e la sua sposa Taurt nell’Ippopotamo femmina abbinato al Coccodrillo, simbolo del “potere serpentino”. La testa di Set, nella sua primitiva forma di Kapi, fu marcata dalle stelle di Cefeo.
La relazione peculiare mostrata tra la Zampa Anteriore (del Toro) o Toro e l’Ippopotamo è menzionata in parecchi testi mitologici.
Nel Libro del Giorno e della Notte, redatto al tempo di Ramses VI, si legge: “Come per questa Zampa Anteriore di Set, essa è nel cielo del nord, legata a due pali d’ormeggio di pietra da una catena d’oro, essa è affidata a Iside che sotto le sembianze di un Ippopotamo la protegge e la sorveglia”. Misteri di Iside
Nei misteri Iside, la Madre divina, è colei che detiene “la chiave della vita”, ovvero il potere creatore e rigeneratore del fuoco celeste, che però diviene un potere distruttivo per coloro che non sono puri e degni della “rinascita”.
Secondo il mito Anubi avendo provveduto a mummificare il corpo di Osiride, di cui il malvagio Set aveva fatto scempio, divenne il dio preposto ai misteri della mummificazione e fu quindi chiamato “Colui che è nella nebride”, per l’allusione ai misteri iniziatici del “Passaggio per la pelle”.
passaggio per la pelle“Colui che è nella nebride” è “Colui che è rivestito di una pelle di cervo”, come poi in Grecia lo furono Dionisio e i suoi seguaci.
Passaggio per la pelle” fu la terminologia simbolica per accennare ad una cerimonia segreta che doveva sancire la “seconda nascita”.
Durante la cerimonia l’iniziando ai Misteri veniva coperto da una pelle di cervo o di leopardo, poi doveva assumere una posizione fetale ed entrare in uno stato letargico, simile a quello della vita prenatale, rimanendo però cosciente.
La pelle di cervo o di leopardo, o di un altro animale consacrato al dio Sole (Osiride), come il vello d’oro di Giasone, designò quindi le vittime sacrificali di Set (come lo fu Osiride), ovvero gli iniziati ai Misteri della seconda nascita, che dovevano “morire” per affrontare le potenze oscure di Set, vincere la morte e “rinascere” per non più morire.
Anubi è detto “Colui che è nella nebride” (nell’oscurità) perché la mummificazione dei corpi in qualche modo era un rito funerario connesso con i misteri del “Passaggio per la pelle”. Se la cerimonia della mummificazione aveva lo scopo di rendere il corpo immortale, questo corpo doveva essere quello nuovo di colui che, rientrando nel ventre di  sua madre (Iside), nasceva di nuovo.  pelle leopardo sacerdote
La pelle di leopardo, di agnello o di cervo, costituì anche una delle insegne di Osiride, quale dio della resurrezione. Innanzi al suo trono appare sempre la pelle di un animale sacrificato appesa ad una lancia che cola il suo sangue dentro ad un recipiente.
I sacerdoti egizi chiamarono Meska la pelle sotto la quale si poneva l’iniziando, la pelle che simboleggiava l‘amnios o il chorion, quale membrana che avvolge il feto che appunto si trova nel ventre della madre. Il termine Meska è costituito da mes che significa “nascita” e ka, “doppio”.
Il rito del “Passaggio per la pelle” veniva svolto anche a beneficio di nobili defunti e dello stesso Faraone. Il sacerdote, chiamato Sem, lo celebrava dinanzi al loro sarcofago eretto contenente la mummia.
Dopo essersi assiso in posizione fetale su di un piccolo scanno, il Sacerdote cadeva nel sonno magico con lo scopo di sdoppiarsi per assistere il defunto nell’aldilà e condurlo in salvo nella terra celeste. Taurt
La costellazione della Coscia o Zampa Anteriore del Toro, associata a quella dell’Ippopotamo, è di origine assai antica, e sembra l’equivalente della “Spalla del Toro” tenuta in mano dall’Orsa, il dio supremo di cui si parla nei Misteri di Mitra, “che muove e percorre il cielo in alto e basso, secondo il tempo”.
La costellazione dell’Ippopotamo rappresentò la dea Ta-Urt, protettrice delle madri, preposta alla maternità e all’allattamento. Essa venne appunto raffigurata da un Ippopotamo in posizione eretta con il seno in evidenza ed una mano poggiante sul segno SA, che significa “protezione”. Sulla schiena dell’Ippopotamo a volte appoggia le sue zampe un Coccodrillo, immagine del dio Sebek, simbolo delle potenze di Set, le forze disgregatrici del caos. Hieroglyphic carvings in ancient egyptian temple
Queste due costellazioni nella versione lineare dello Zodiaco circolare di Denderah, che si trova in una sala adiacente al Tempio, vengono poste tra il Sagittario e il Capricorno, quindi messe in relazione con il Solstizio d’Inverno (lo 0° del Segno del Capricorno).
Quando il Sole si trova in questa posizione segna una data speciale del calendario sacro, antico e moderno: la nascita del Salvatore.
La tradizione popolare rappresenta questo evento storico con il Presepio o Presepe. Il Bambino Divino è poggiato su di una mangiatoia, situata in una stalla, tra il bue e l’asinello.
Il termine “presepio” o “presepe” deriva dal latino praesaepe, da prae-s(a)epio, “chiudere davanti, sbarrare”, composto da prae, “davanti” e da saepio, “cingere”, “circondare con una siepe”, “proteggere”. Il significato di Presepe è quindi quello di un luogo difeso efficacemente e reso inaccessibile da una barriera, una “protezione materna” che delimita e difende lo spazio sacro in cui è posto il Bambino Divino da ogni profanazione.
pelle leopardo sacerdotessa
Questa protezione materna ricorda la pelle nella quale veniva avvolto colui che doveva rinascere, pelle che gli Egiziani chiamarono (meska) con lo stesso nome con il quale nominarono il cielo stellato del nord (mesket) che pareva avvolgere, nascondere e proteggere il Centro della vita universale, il potere supremo di Osiride, la forza forte che rende immortali.
Questo luogo polare fu chiamato Eden, la Sede dell’Albero della Vita difeso poi da due Cherubini.
L’Asino, come il Toro, fu l’antico simbolo di Set. La Zampa Anteriore (del Toro o dell’Asino), è la Zampa Anteriore di Set incatenata ai due pali d’ormeggio di pietra, affidata a Iside, che sotto le sembianze di un Ippopotamo, “il bue delle acque” come lo chiamavano gli Egiziani, la custodisce e la sorveglia.dendera-planisfero
Nel centro del Planisfero di Denderah, nei pressi del Polo Nord celeste si nota la Zampa di Set e l’Ippopotamo, simbolo di Iside sotto le sembianze di Taurt, la sposa di Set; tra le due un giovane Cane, simbolo di Anubi.  Poco al di sotto del centro si nota il Leone con le zampe su di una specie di barca formata dall’Idra. Al di sotto del Leone possiamo osservare la Vacca sacra, Iside-Hator, con una stella tra le corna, rappresentazione di Sothis, la stella Sirio.
I dodici Segni dello Zodiaco sono inscritti in una fascia leggermente obliqua il cui centro non sembra coincidere con il Polo.
Tra i Segni vi sono cinque figure antropomorfe individuate quali simboli dei cinque pianeti conosciuti dagli antichi, piazzati nei Segni delle loro dignità particolari: Saturno in Bilancia, Giove in Cancro, Marte in Capricorno, Venere nei Pesci e Mercurio nella Vergine.zodiaco-dendera-
Queste figure, come quelle di alcune stelle importanti, possono avere un aspetto vario, antropomorfo e zoomorfo, e talvolta sono munite di ali. Esse sono le immagini degli Enti stellari e zodiacali del sistema cosmologico egizio.
Tra lo Zodiaco e il cerchio dei Decani vi è un’area a forma di luna crescente occupata da figure di stelle e di costellazioni, tra le quali si identificano facilmente Orione e Sirio, ossia Sothis, accompagnata dalle deità Satis e Anukis che formavano una triade con il dio Ariete Khunum.
Quattro figure di divinità femminili, l’una di fronte all’altra, che si guardano due a due, sorreggono la sfera celeste ritte in piedi.zodiaco di denderah
Tutte e quattro hanno vicino una colonna formata da geroglifici che arriva all’altezza dei fianchi e solo due di esse ne hanno un’altra accanto al braccio sinistro.
Queste figure che non sembrano avere alcun significato astronomico, marcano i quattro cardini del cielo, formati dall’asse dei Solstizi e da quella degli Equinozi.
Tra queste quattro figure vi sono intervallate quattro coppie umane con sembianze di falco che si guardano tra loro, tutte quante sorreggono la sfera celeste stando in ginocchio.
Nel perimetro del planisfero si vedono scolpite trentasei figure tutte con il loro nome scritto accanto. Sono gruppi di stelle, o stelle singole importanti, che sorgevano in particolari ore della notte durante i trentasei periodi di dieci giorni.
Ogni periodo di dieci giorni era caratterizzato al suo termine dal sorgere eliaco del Decano successivo.
Il sistema dei Decani è antichissimo ed è documentato a partire dalla III Dinastia, ma probabilmente risale ad epoche più remote.
I Decani per gli Egiziani erano personificazioni di entità divine, come lo furono le stelle e i pianeti. Tomba-Seti-I
Anche sul soffitto della tomba di Seti I sono raffigurati il Toro e l’Ippopotamo femmina.
Una figura umana tiene nelle mani quelle che sembrano due corde che legano il Toro al “palo” impugnato dall’Ippopotamo, a significarne il possesso e il controllo.
Queste due costellazioni nello Zodiaco di Denderah e nella tomba di Senmut sono unite tra loro da un supporto su cui appoggiano le quattro zampe del Cane (Anubi).
Sopra il Toro il nome Mesketiu.
Come si può osservare, il Toro e la figura umana che lo segue sono stati rappresentati sulle sette stelle dell’Orsa Maggiore, mentre l’Ippopotamo, con sulla schiena il Coccodrillo, dalle stelle del Drago.
In posizione perpendicolare, sotto al Toro, il dio An con la testa di falcone appoggia i piedi sul palo tenuto dall’Ippopotamo e impugna un’asta o lancia con la quale intende sacrificare il Toro.tomba di Seti I due
Nella tomba di Senmut il sangue del Toro sacrificato che cade a gocce in un recipiente ricorda il sangue che cola dalla pelle di leopardo quale insegna di Osiride.
Sotto al Toro una figura d’uomo punta con la mano sinistra alzata il centro del supporto che sostiene il Toro formando il disegno di una Chiave d’Iside, mentre con l’altra mano fa il gesto di trafiggere un Coccodrillo.
Sopra a sinistra, la dea Serket, la dea Scorpione, protettrice dei defunti e delle nozze.
Sotto un’Aquila è piazzata sopra un Leone circondato da stelle.
Le figure principali sono quelle delle costellazioni circumpolari del cielo del Nord, denominate Mesketh, quelle che ebbero una precisa relazione con la dottrina della resurrezione e i suoi misteri.
Il Toro, il Leone stellato, l’Aquila, e lo Scorpione, ricordano nel loro insieme la Sfinge e il quaternario sacro espresso dalla geometria della Piramide, il Tempio dei MisteriRamesse VI

MUSICA E CREAZIONE DEL MONDO – di Alessandro Benassai

La musica, a differenza della matematica, dell’astronomia, è una scienza ma è anche un’arte e non è facile capire bene a cosa serve perché questi due aspetti si fondono. È l’arte del cantare, del comporre un fraseggio musicale, un dialogo musicale che deve servire per ripristinare nell’uomo e nella donna l’immagine divina. Continua a leggere “MUSICA E CREAZIONE DEL MONDO – di Alessandro Benassai”

LA PRATICA ALCHEMICA – di Francesco Parisi

Premessa fondamentale per chi si accinge ad intraprendere lo studio dei testi alchemici è il tenere presente che il linguaggio utilizzato dall’Alchimia è di tipo ermetico, cioè simbolico e pertanto volutamente misterioso ed incomprensibile a chi non possiede le giuste chiavi di decodifica.
L’adozione di questo particolare linguaggio cifrato derivava dalla necessità di nascondere conoscenze di tipo spirituale e superiori che, utilizzate da individui malintenzionati o maneggiate da mani impure, si sarebbero potute rivelare estremamente dannose per sé e per gli altri.simboli-ermetici Continua a leggere “LA PRATICA ALCHEMICA – di Francesco Parisi”

IL BELLO E IL SACRO – di Massimiliano Galastri

Icona 1L’ESTETICA DELL’ICONA

Per molto tempo non sono riuscito a spiegarmi perché i primi cristiani optarono per un’arte che sembra così astratta e cruda. Nell’impero romano non mancavano esempi e modelli artistici capaci sia di un realismo più esatto (la prospettiva era conosciuta bene in pittura) sia improntati al senso della magnificenza, o del meraviglioso o del simbolico. Proprio non si capisce perché il Cristianesimo optò per una forma di rappresentazione artistica così strana, deformata, irrealistica fino a sfiorare l’irrazionale.
Si può capire l’arte simbolica e criptica delle catacombe, il loro necessario codice cifrato, la forza del segreto che emerge dai pochi, essenziali segni lasciati dai primi cristiani ai tempi delle grandi persecuzioni, ma non si può capire facilmente perché i pittori cristiani scelsero questo stile e questo codice a dir poco originale anche quando il cristianesimo divenne religione tollerata prima e di stato poi.

Continua a leggere “IL BELLO E IL SACRO – di Massimiliano Galastri”

RIFLESSIONI: L’EMPIRISMO SPIRITUALE E LA SPERIMENTAZIONE ARCHEOSOFICA – di Ettore Vellutini

Auguste ComteDopo la rivoluzione francese ad opera di alcuni studiosi, primo fra tutti Auguste Comte, considerato il padre della moderna sociologia, si va affermando nel mondo scientifico ed intellettuale la tendenza al superamento delle mere concezioni fideistiche e dottrinali a favore di una ricerca sempre più incentrata sulla ragione e sulla sperimentazione empirica. Di fatto il secolo dei lumi e le profonde mutazioni connesse al radicale ripensamento dell’uomo, inserito nella sua particolare dinamica sociale, se da un lato genererà una serie di correnti ateo-razionalistiche, che spesso arriveranno a perdere ogni contatto con il comune buonsenso, dettato da evidenze non ignorabili e da lacunose quanto faziose affermazioni dogmatiche, dall’altro spinsero l’ambiente spiritualistico considerato allora reazionario a cercare una via sperimentale che producesse empiricamente prove a cui appoggiare le proprie teorie e convinzioni metafisiche. Continua a leggere “RIFLESSIONI: L’EMPIRISMO SPIRITUALE E LA SPERIMENTAZIONE ARCHEOSOFICA – di Ettore Vellutini”

PERCHE’ ESERCITARSI NELLA CARDIOGNOSI – di Mauro Iorio

L’individuo è paragonabile ad un satellite che ruota intorno al suo Sole: se esce dall’attrazione della sua stella, perde la rotta. meditazionecuore1
Così come un pianeta non vive di vita propria ma è completamente dipendente dalla sua stella, allo stesso modo la persona è dipendente dal suo centro interiore: il cuore, centro della vita e dell’anima.
È scritto nella Genesi che siamo fatti ad immagine e somiglianza Divina, ma il senso di questa frase sfugge completamente se almeno una volta nella vita non cerchiamo di scoprire che cosa è questa immagine e somiglianza. meditazione-cuore2
L’anima ne conserva il seme e il segreto, vi è letteralmente “agganciata” tramite un invisibile e misterioso collegamento che ha il suo centro di gravità proprio nel Cuore, sede dei sentimenti e dell’amore.
Non è facile avere accesso a questo luogo tutto interiore né tantomeno fissarsi in esso, perché vi è la vita fisiologica che detta legge, per questo è necessario renderla innocua, affinché la coscienza possa muoversi agiatamente dall’esterno verso l’interno.
L’individuo è sempre uno, semplicemente ha più aspetti: l’istinto che ubbidisce ai richiami e alle necessità concrete dell’essere umano (mangiare, vivere, dormire, procreare) e l’anima, che pur avendo aspirazioni più elevate subisce il contagio e l’attrazione dei sensi. Per cui è come se l’anima istintiva e l’anima (in senso più elevato) si influenzassero e toccassero reciprocamente e quindi la coscienza può salire e scendere la scala dell’esistenza umana, applicandosi con la sola Volontà. meditazione-cuore3
Certo non è facile rendersi conto della realtà della propria anima, anche perché il tipo di vita comune nel mondo d’oggi non lascia spazio e posto al raccoglimento e al silenzio interiore. Molte persone si sentono a disagio nel silenzio, provando persino imbarazzo nel trovarsi sole con se stesse, quindi per istinto cerchiamo un contatto sensoriale, non ha importanza se questo sia fisico o emotivo, ma che ci faccia semplicemente sentire vivi… senza immaginare che l’origine di ogni vita è dentro di noi.

Continua a leggere “PERCHE’ ESERCITARSI NELLA CARDIOGNOSI – di Mauro Iorio”

ARCHEOSOFIA: COSA SIGNIFICA? – di Alessandro Mazzucchelli

Spesso mi domandano “che cos’è l’Archeosofia?” – “cosa significa Archeosofia?”. Il modo più immediato e semplice di dare una prima risposta è riferirsi alle parole di Tommaso Palamidessi, fondatore dell’Archeosofia stessa:
“L’Archeosofia è la conoscenza integrale, è la saggezza arcaica o, in altri termini, la “Scienza dei princìpi”; essa deriva dalle voci greche ἀρχὴ, archè = principio, e σοφία, sofia = sapienza” (1). sapienza divina
L’etimologia è chiara ma ecco che si aprono nuovi interrogativi: perché l’autore ha scelto queste parole? Da dove vengono?

Continua a leggere “ARCHEOSOFIA: COSA SIGNIFICA? – di Alessandro Mazzucchelli”

LE COSTELLAZIONI NEL CIELO DEGLI ANTICHI MISTERI – di Alessandro Benassai

Le Costellazioni sono creazioni mentali dei Filosofi ispirati dalla Sapienza Eterna, idee proiettate e fissate nel cielo della Mente Universale, simboli alchemici della Grande Opera. origine cosmo

Ai corpi celesti, stelle e pianeti, come ai Segni e alle Costellazioni, stanno gli Enti Cosmogonici agli ordini della Sapienza Creata, Essenze dell’Universo vivente create nella mente di Dio e portate dal nulla all’essere prima dell’Uomo. Le intelligenze celesti influenzano beneficamente, informando mentalmente chi è o si rende ricettivo, comunicandogli l’Idea o l’Archetipo.

Continua a leggere “LE COSTELLAZIONI NEL CIELO DEGLI ANTICHI MISTERI – di Alessandro Benassai”

ORIGINE DELLE COSTELLAZIONI – di Alessandro Benassai

Origine Costellazioni

Le Costellazioni che ci sono state tramandate da Ipparco e poi da Tolomeo, cantate da Arato, erano state incise sopra un globo che Eudosso ricevette dagli Egiziani.
Gli Egiziani incrementarono la loro tradizione astrologica con le notizie ricevute dai Caldei e più tardi dai Babilonesi con i quali erano in stretto contatto, per cui il globo consegnato ad Eudosso, o inciso da lui stesso, poteva riferirsi alla cultura astrologica dei Caldei.

Origine Costellazioni 1

Un catalogo con la posizione di oltre 1000 stelle fu trasmesso ad Ipparco. Egli, confrontando le posizioni delle stelle catalogate con la posizione che occupavano nel cielo al suo tempo, si accorse che non coincidevano più in longitudine, ascensione retta e declinazione, mentre la latitudine rimaneva costante. Da ciò dedusse il movimento di precessione degli Equinozi. Inoltre alcune stelle non erano otticamente osservabili perché non sorgevano più o erano troppo basse sull’orizzonte. Ipparco ricalcolò le posizioni delle stelle e il suo catalogo arrivò poi a Tolomeo che le pubblicò nell’Almagesto.
Le posizioni delle stelle catalogate al tempo d’Ipparco oggi non corrispondono alla loro reale posizione per via dello spostamento in longitudine (la distanza dall’Equinozio di Primavera) e in declinazione (l’altezza sull’Equatore celeste), per cui il cielo notturno visto da Ipparco ad Alessandria d’Egitto non coincide con quello di oggi, così come non coincideva con quello visibile ai suoi predecessori.

Continua a leggere “ORIGINE DELLE COSTELLAZIONI – di Alessandro Benassai”