IL PROCESSO AI TEMPLARI – di Alessandro Mazzucchelli

Terza Parte

IL LUPO SOTTO LA VESTE DELL’AGNELLO

Leggiamo alcuni passi del decreto di arresto:
«Filippo, per grazia di Dio re di Francia […] Una cosa amara, una cosa deplorevole, una cosa sicuramente orribile da pensarsi, terribile da sentire, un crimine detestabile, un misfatto esecrabile, un atto abominevole, un’infamia oltraggiosa, una cosa del tutto disumana, ancora di più, estranea ad ogni forma di umanità, è pervenuta alle nostre orecchie, grazie ai rapporti di parecchie persone degne di fede, non senza colpirci di un grande stupore e farci fremere di un violento orrore […]

Poco tempo fa, tramite il rapporto che ci è stato fatto da persone degne di fede, ci è stato dato di sapere che i fratelli dell’ordine della cavalleria del Tempio, nascondendo il lupo sotto la veste dell’agnello, e insultando miserabilmente la religione della nostra fede sotto l’abito dell’ordine, crocifiggono oggi nuovamente nostro Signore Gesù Cristo, già crocifisso per la redenzione del genere umano, e lo gravano di ingiurie più gravi di quelle che soffrì sulla croce, allorquando, durante il loro ingresso nell’ordine […] lo rinnegano tre volte e, crudeltà orribile, gli sputano tre volte nella faccia […] Elenco degli errori dei Templari forniti da diversi testimoni […] ciascuno dei fratelli indossa sotto la camicia una cordicella, che deve sempre portare su di sé per tutto il tempo della vita; e si sente dire che queste cordicelle sono state avvolte al collo di un idolo che ha la forma di una testa d’uomo con una grande barba, e che questa testa la baciano e la adorano nel corso dei loro capitoli provinciali; ma di ciò non sono a conoscenza tutti i fratelli, tranne il gran maestro e gli anziani. Inoltre, i preti del loro ordine non consacrano il corpo di Nostro Signore; e a proposito di ciò si farà un’inchiesta speciale ascoltando i preti dell’ordine.

E i commissari debbono inviare al re sotto i loro sigilli e i sigilli dei commissari dell’inquisitore il più presto che potranno la copia della deposizione di coloro che confesseranno i detti errori o principalmente il rinnegamento di Nostro Signore Gesù Cristo».

E ancora: «Ecco dunque come questa gente perfida, gente insana e votata al culto degli idoli non si vergogna di commettere questi delitti e anche altri. Il loro operato detestabile, le loro parole inopportune possono contaminare la terra con la loro nefandezza, sottrarre i benefici della rugiada e corrompere la purezza dell’aria, e indurre la confusione nella nostra fede».

“La prima parte è redatta in latino, la lingua ufficiale della Chiesa, della cultura, dell’università; qui si annunciano i principi ideali che hanno spinto il sovrano a un passo tanto grave. Il testo deve esibire una sorta di giustificazione, un alibi morale per un gesto così estremo: catturare i membri di un ordine che, oltre essere militare è anche religioso perciò appartiene ai ranghi della Chiesa. La seconda parte è formata invece da una specie di postilla contenente le istruzioni pratiche dirette ai soldati e agli ufficiali dello Stato che dovevano eseguire quelle imposizioni.

Questa sorta di “allegato” è scritto nel francese corrente di primo Trecento, quello propriamente alla portata di tutti. Perché si fece ricorso un doppio registro? Per ovvie esigenze pratiche: chi organizzava l’attacco ai Templari voleva la certezza che questi uomini d’arme, non di cultura, capissero bene ogni dettaglio senza possibilità di equivoci. Il proclama iniziale in latino è infatti un documento che trabocca pretesti, che chiama in causa molte citazioni altisonanti tratte dalla Sacra Scrittura ed è improntato a uno stile aulico, difficile, denso di figure retoriche e immagini simboliche, per enfatizzare la gravità delle colpe di cui Templari sì sono macchiati. […] Simili esagerazioni abbondano in questo scritto: si voleva affermare che i delitti commessi dai Templari erano così immondi da infliggere all’umanità intera un danno anche fisico; i loro misfatti costituivano un male morale capace di guastare la terra, l’aria, i raccolti. La postilla che lo segue parla invece tutt’altra lingua. Contiene istruzioni dettagliate trasmesse in modo inequivocabile”.[1]

I MISFATTI ESECRABILI

Quali sono dunque i capi d’accusa contro i Templari? Riassumiamoli:
Rinnegamento di Cristo
Sputo sulla croce
Baci osceni
Incoraggiamento all’omosessualità tra frati
Cordicella
Idolo
I preti dell’ordine non consacrano l’ostia

Il rinnegamento e lo sputo avvenivano, secondo l’accusa, durante il rito di ricezione del nuovo fratello nel Tempio. Sono i due crimini più importanti, perché mostrano il reato di apostasia e di eresia, che, fin dal diritto romano, era equiparato al delitto di lesa maestà. È anche l’accusa che può autorizzare l’intervento dell’inquisitore, altrimenti molto dubbio. Il nome ufficiale dell’Inquisizione, infatti, era Tribunale per l’eretica pravità. E sono colpe talmente importanti che nel decreto di arresto è ben specificato: «E i commissari debbono inviare al re sotto i loro sigilli e i sigilli dei commissari dell’inquisitore il più presto che potranno la copia della deposizione di coloro che confesseranno i detti errori o principalmente il rinnegamento di Nostro Signore Gesù Cristo».

È sintomatico il fatto che si raccomanda di raccogliere solo le confessioni, in particolare del rinnegamento di Cristo; le deposizioni dei Templari che neghino le accuse non interessano, non servono a preparare il dossier che si deve formare.

E le confessioni arrivarono, a decine. In pratica il re fece catturare degli eretici già colpevoli, non degli imputati. Molti di questi, pressati da minacce psicologiche e fisiche, torturati senza pietà fin dai primi giorni e poi sfiniti da un regime carcerario durissimo, confessarono ciò che volevano i loro inquisitori e i loro carcerieri. Sappiamo che molti templari sono morti in carcere, sotto tortura o per i continui maltrattamenti. E gli altri? Perché non se ne sa nulla? I conteggi degli arrestati e delle deposizioni/confessioni raccolte non tornano. Senza addentrarci nei particolari di questa tristissima contabilità si può concludere con Alain Demurger, forse il massimo studioso dell’argomento, che “ogni ragionamento fondato unicamente sulle deposizioni dei templari che confessano è alterato”.[2]

CONFESSATE!

Le confessioni si moltiplicarono anche perché fra i frati incarcerati fu fatto circolare un biglietto, sigillato con la bolla d’argento del gran maestro, nel quale Jacques de Molay dichiarava di aver confessato e invitava i confratelli a fare altrettanto. In effetti, interrogato il 25 ottobre, 12 giorni dopo l’arresto, di fronte ai teologi della Sorbona, il gran maestro aveva confessato e chiesto perdono, come riportano gli atti ufficiali della cancelleria di Francia.
“Bisogna tuttavia porsi una domanda: la lettera di Jacques de Molay che ordinava ai Templari di confessare era davvero autentica? Secondo le fonti portava appeso il sigillo d’argento del gran maestro, che tuttavia il Nogaret non aveva alcun problema a procurarsi: l’intero quartiere del Tempio era presidiato dai soldati reali, con ogni cosa al suo interno conservata. E la Cancelleria di Francia era tutt’altro che nuova alla manipolazione dei documenti.”[3] Lo aveva fatto più volte in passato, arrivando persino a falsificare una Bolla del pontefice, la “Ausculta fili” di Bonifacio VIII, ed è molto probabile che Nogaret e i suoi colleghi non si siano fatti alcun problema ad agire nella stessa maniera. D’altra parte, dallo svolgersi degli avvenimenti, non sembra proprio che gli scrupoli morali fossero la guida dei loro atti.

COLPO DI SCENA

C’è un’altra domanda a cui è importante trovare una risposta: Anche Jacques de Molay era stato torturato in quei dodici giorni fra l’arresto e la deposizione? In primo luogo, sappiamo che gli fu prospettata la possibilità di fuggire, che il Maestro rifiutò, ben sapendo che equivaleva a una dichiarazione di colpevolezza. Sul fatto che a quel punto sia stato torturato varie fonti rispondono in modo affermativo, in particolare due lettere conservate nell’Archivio della Corona di Aragona, come vedremo tra poco. All’opposto un anonimo della cerchia del re si spinge fino a scrivere che Jacques aveva confessato spontaneamente e aveva chiesto, piangendo, «di essere torturato perché i suoi confratelli non potessero dire che aveva liberamente causato la loro rovina».[4] Ma sulle capacità mistificatorie dell’entourage del re è inutile insistere.

Ma ecco il colpo di scena: due mesi dopo, il 24 o 27 dicembre, a Parigi, di fronte ai due cardinali inviati dal papa e alla folla, Jacques de Molay ritratta pubblicamente le sue confessioni affermando di essere stato torturato, e invita i suoi confratelli a fare altrettanto. Ecco la descrizione dell’avvenimento[5]:
«Non appena giunti a Parigi i due cardinali andarono dal re di Francia e gli esibirono i documenti che il papa aveva dato loro[6], e il re dette ordine che i Templari, cioè il Gran Maestro e molti altri confratelli, fossero rimessi nelle mani dei due cardinali. E non appena ebbero ottenuto di prenderlo sotto la loro custodia, i cardinali chiesero al Gran Maestro se ciò che avevano udito fosse la verità, cioè che egli aveva confessato le colpe.[7] Rispose loro che era vero, che aveva confessato e avrebbe rivelato dei fatti addirittura peggiori: ma i cardinali dovevano radunare tutto il popolo di Parigi, i notabili e la gente comune, perché l’errore più grave voleva dirlo davanti a tutti.

I cardinali gli dissero:
 – Certamente questo vi fa onore e troverete maggiore misericordia.
Subito fecero predisporre tutta la gente e quando la chiesa si fu riempita fecero arrivare il Gran Maestro insieme ad altri quaranta frati; lui fu fatto inginocchiare sopra un catafalco, come se stesse pregando. Quando fu lì sopra disse:
– Signori tutto ciò che il Consiglio del re di Francia vi ha detto, che cioè io e questi frati del Tempio che vedete qui con me, e molti altri che non potete vedere, abbiamo confessato le colpe è la verità: tutti infatti abbiamo confessato
E slacciata la fibbia del mantello, svestitosi della sopravveste e della tunica, mostra il costato e le braccia nude davanti a tutti; poi dice:
– Vedete bene, signori, che ci hanno fatto dire ciò che hanno voluto!
Mostrava al pubblico le braccia, completamente solcate da tagli e scarnificate tanto da sembrare che gli fossero rimasti solo ossa e nervi dopo che tutta la carne fosse stata levata dalla schiena, del ventre e dalle cosce. Disse:
– Signori, così come vedete me, anche gli altri sono tutti senza colpa, poiché non piacque a Dio  e a Nostra Signora Santa Maria che il Tempio fosse disonesto!

Quando i cardinali furono certi del grande errore compiuto e della tremenda crudeltà, si commossero al punto che non riuscivano a parlare. Allora i membri del Consiglio del re cominciarono a fare pressioni su di loro perché emettessero quella sentenza che il papa aveva ordinato loro di emanare: ma quelli risposero che non sarebbe affatto piaciuto a Dio se avessero detto o fatto qualcosa contro uomini innocenti».

E LE ALTRE ACCUSE?

Se si volesse stilare una classifica delle confessioni estorte ai Templari, è facile vedere che i primi due capi d’accusa, il rinnegamento di Cristo e lo sputo sulla croce, con molte piccole varianti di luogo e modalità, vincono con grandissimo distacco. Ed è facile capire perché: come abbiamo già accennato, sono le due colpe che configurano il reato di eresia, e quindi sono quelle necessarie e sufficienti per condannare sia i singoli cavalieri che l’ordine in quanto tale. Sembra quasi che, in molte occasioni, una volta ottenute le confessioni su questi due punti, molti fra gli inquisitori si siano accontentati, e solo in un numero di casi relativamente modesto, abbiano insistito fino ad ottenere le ammissioni anche sulle altre presunte colpe contenute nel decreto di arresto.

Da questa analisi risulta abbastanza chiaro che le altre accuse furono usate più che altro a scopo sensazionalistico, per rincarare la dose e scandalizzare il pubblico.
“Il castello accusatorio costruito dei giuristi di Filippo il Bello aveva un’impostazione assolutamente razionale, che presupponeva il rifiuto dogmatico del cristianesimo e poi una serie di colpe miranti a provare la diffusione nell’ordine di vizi e costumi infami.”[8]
Prendiamo ad esempio l’omosessualità. In primo luogo è utile ricordare che gli statuti del Tempio la condannano e la puniscono severamente, con l’espulsione perpetua dall’ordine; quindi già la giustizia interna dei Templari, nell’eventualità, avrebbe agito. Nella giurisprudenza del Tempio è infatti riportato un solo caso, nel quale la punizione inflitta è perfino più severa di quella prevista dagli statuti. [9]

In secondo luogo, a conferma anche di quanto scritto poc’anzi, fra le centinaia di deposizioni dei Templari sono solo sei quelli che confessano qualcosa riguardo al “peccato contro natura”, la sodomia. “Quelle accuse caddero presto in secondo piano, scadute d’importanza agli occhi dell’interesse collettivo. La strategia d’attacco smise di calcare la mano su quel punto non appena raggiunto il suo obbiettivo: suscitare nelle persone comuni una veemente disistima verso i Templari, ormai visti come gente ignobile dedita a pratiche oscene. Ottenuto quando si voleva, i crimini sessuali furono eclissati perché si riteneva opportuno battere altri tasti più proficui.”[10]
E le restanti tre accuse?
Della cordicella per cingere i fianchi abbiamo già detto che era una cosa perfettamente lecita, in uso anche presso altri ordini religiosi, e prescritta nella Regola. Questo punto mostra casomai l’ignoranza degli accusatori, e infatti anch’esso fu ben presto accantonato.[11]
Stessa sorte seguì il punto relativo alla mancata consacrazione dell’ostia da parte dei frati cappellani, accusa che sembra inserita giusto come corollario delle prime due, allo scopo di corroborare la colpa più grave, l’eresia; e forse anche per inserire qualcosa che attaccasse direttamente la terza componente dell’ordine del Tempio, dopo i cavalieri e i sergenti, appunto i preti.

IL BAFOMETTO

Resta l’idolo. Rileggiamo le parole dell’atto di arresto: «e si sente dire che queste cordicelle sono state toccate e messe attorno a un idolo che ha la forma di una testa d’uomo con una grande barba, la cui testa loro baciano e adorano nei capitoli provinciali, ma questo non lo sanno tutti i fratelli, tranne il gran maestro e gli anziani».

L’idolo è utile perché, citandolo, si può aggiungere la grave colpa dell’idolatria. La sua descrizione, assai laconica, una testa maschile con la barba, dice veramente poco in un’epoca in cui la pittura e la scultura traboccavano di immagini di santi, patriarchi e profeti, tutti con la barba, come del resto lo stesso Gesù. Decine e decine di reliquiari, conservati nei musei e nei tesori delle chiese di tutta Europa hanno la forma descritta nell’atto di arresto. Oltre a ciò, la precisazione che la conoscenza dell’idolo è nota solo ai dignitari dell’ordine, sembra un avviso a chi dovrà condurre gli interrogatori che è inutile insistere troppo su questo punto, che, non a caso, era l’ultimo. A Parigi l’idolo compare raramente nelle deposizioni ed è descritto infatti come una comune testa-reliquiario di legno, rivestita d’argento.
Ma gli inquisitori del Meridione francese, e solo loro, riescono a dargli un’identità; diventa un essere vero e proprio, o un mostro con più facce, o un’entità sovrannaturale che risponde quando interrogata.

Leggiamo la testimonianza del sergente Pons de Alundo: «Il gran Precettore gli disse che Gesù Cristo non era veramente Dio, né venne crocifisso per la salvezza del genere umano, ma si trattava in realtà di un falso profeta messo in croce per i suoi delitti. Perciò gli disse che non doveva riporre in lui la speranza di avere la salvezza eterna, poiché non aveva alcun potere di salvarlo, ma doveva affidarsi a quell’idolo in forma di testa li presente, il quale come gli sembrò aveva due facce e due piccole corna: su ordine del gran Precettore adorò quell’idolo, gli fece atto d’omaggio, piegando le ginocchia, lo baciò sotto la faccia chiedendogli di salvarlo e di assicurargli un buon avvenire, affinché potesse vivere in questo mondo con grande onore. Il detto idolo allora rispose che l’avrebbe esaudito».[12]

Purtroppo non è difficile immaginare i tormenti ai quali fu sottoposto il povero sergente perché aggiungesse alla descrizione troppo “normale” della testa, contenuta nell’atto di arresto, almeno un paio di corna, due facce e una risposta dell’idolo.
La stessa sorte probabilmente subì Hugues Bellet, sergente anch’egli: «Chiestogli se in quella circostanza vide apparire un gatto, rispose di sì: era nero e stava presso l’idolo. Dietro ordine del Precettore lo baciò sull’ano. Interrogato se sapesse da dove era venuto quel gatto, rispose che lo ignorava; ma venne al modo di una nube e subito scomparve. Crede pertanto che fosse un’entità malvagia apparsa in forma di gatto.[…] Durante la cerimonia d’ingresso di un confratello accolto in Acri, vide apparire fino a sette donne che portavano mantelli neri, secondo il costume delle donne di quelle terre. Chiestogli se credeva che fossero donne vere, rispose di no. Erano piuttosto dei diavoli apparsi in sembianze femminili: se fossero state vere donne, non avrebbero potuto entrare in quel luogo, perché le porte erano chiuse saldamente».[13]

I Templari interrogati nel Midi francese furono torturati con particolare violenza, e lo sappiamo perché questo fatto è puntualmente registrato. Va ricordato che in quella regione, fra Carcassone e Tolosa, operava il celebre Bernardo Gui, l’autore del famoso trattato Practica inquisitionis.
Ma quello descritto dai Templari è il Bafometto? La prima apparizione di questo nome si trova, come deformazione del nome di Maometto, in una lettera del 1098 di Anselmo II di Ostrevent de Ribemont, compagno di Goffredo di Buglione e portastendardo del Vermandois, che racconta l’assedio di Antiochia durante la prima crociata:
«Al sorgere del sole, invocarono a gran voce Baphometh; e noi abbiamo pregato in silenzio il nostro Dio nei nostri cuori, così abbiamo attaccato e li abbiamo buttati fuori dalle mura della città».[14]
Come fraintendimento del nome Maometto, il Baphomet compare anche in alcuni poemi provenzali e occitanici e in un’opera di Raimondo Lullo, e infine nelle deposizioni di alcuni Templari a proposito della misteriosa testa barbuta: Gauserand de Montpesant, un cavaliere di Provenza, disse che il loro superiore gli mostrava un idolo fatto in forma di Baffomet; un altro, di nome Raymond Rubei, lo descrisse come una testa di legno, su cui era dipinta la figura di Baphomet, e aggiunge, «che lo si adora baciandogli i piedi, ed esclamando, “Yalla”, che era,» dice, «verbum Saracenorum», una parola presa dai Saraceni. Un templare di Firenze dichiarò che, nei capitoli segreti dell’ordine, un fratello disse all’altro mostrando l’idolo: “Adora questa testa: questa testa è il tuo dio e il tuo Mahomet».[15]

Così, si poteva aggiungere l’accusa di essere passati alla religione del nemico, di essere dei cripto-musulmani, che erano considerati essi stessi adoratori di un idolo, Maometto. Non mi dilungherò su tutte le interpretazioni occultistiche, fino a quelle devianti verso la magia nera e la stregoneria, che sono scaturite da questo punto, a partire dal XVIII secolo, da Joseph Freiherr von Hammer-Purgstall ad Aleister Crowley. Sarebbe uno studio interessante da approfondire in un’altra occasione.

PER CONCLUDERE

Da molto tempo gli storici si interrogano e si dividono sulla veridicità o meno delle confessioni dei Templari.

Barbara Frale ha scritto di un «codice ombra», un’«anti-regola» contenente i punti (puncta), di cui diversi frati parlano nelle loro confessioni, dandone una spiegazione che ne ricondurrebbe alcuni aspetti ad atti di «nonnismo», altri a prove estreme di obbedienza, necessarie in un contesto militare[16], e, soprattutto, nell’ipotesi che un cavaliere venisse catturato dal nemico, il quale gli avrebbe proposto l’abiura a Cristo con uno sputo sulla croce, in cambio della vita (scelta cui effettivamente molti cavalieri del Tempio, nel corso della storia dell’ordine si dovettero sottoporre, scegliendo nella quasi totalità la morte per decapitazione).
In realtà non c’era nessun «codice-ombra»: il piccolo libro o quaderno, il «parvum librum» più volte citato negli atti del processo come contenente gli aberranti punti segreti dell’eresia templare, era un quaternium di circa 16 pagine, formato 20 x 15 cm., contenente la parte degli statuti dell’ordine da utilizzare durante la cerimonia di ricevimento di un nuovo fratello: un piccolo rituale.[17]
Pur in tempi come gli attuali, dove i media continuamente ci rimandano immagini terribili sia dalla realtà che dalla fiction, è difficile immaginare il clima di violenza fisica e morale sistematica nel quale furono estorte le confessioni dei Templari. Ne è prova il fatto che in quelle nazioni europee dove l’influenza francese era più lontana e dove la tortura non fu usata, i Templari non confessarono proprio niente e anzi proclamarono la propria innocenza.

Non c’è qui lo spazio per ripercorrere tutte le vicende dei processi contro i Templari, dal fatidico venerdì 13 ottobre 1307 al 18 marzo 1314 quando Jacques de Molay e Geoffroy de Charny furono sacrificati sul rogo di Parigi, testimoniando con le loro ultime dichiarazioni la completa innocenza dell’ordine dei “Poveri cavalieri di Cristo e del Tempio di Salomone”.

«Il Maestro, quando vide avvicinarsi le fiamme, si spogliò in fretta: e si mostrò denudato, solo con la camicia addosso, ricoperto di umiltà e con volto sereno.
Non tremava, mentre lo afferravano e lo legavano alla pira.
Così, sereno nell’animo, gli legarono i polsi ma lui disse: miei signori, lasciate che io giunga un poco le mani, per rivolgere a Dio la mia ultima preghiera poiché è venuta la mia ultima ora.
Questo vi dico: io muoio, ma Dio sa riconoscere il vero dal falso.
Presto si consumerà l’ira sua contro quelli che ci distrussero con l’inganno.
Dio vendicherà la nostra morte.
Signori, sappiate per certo che quanti ci hanno perseguitato molto soffriranno per causa nostra. In questa speranza io muoio: ne siete testimoni!»[18]

Ricorderò soltanto che quando finalmente i Templari ebbero la possibilità di difendersi, di fronte alle commissioni diocesane e a quella pontificia, ritrattarono in massa le confessioni e iniziarono ad articolare una difesa puntuale. Purtroppo l’accanimento di quei vescovi più compromessi con la corona di Francia mise fine al tentativo di una difesa legale: ad esempio Philppe de Marigny, fratellastro di Enguerrand, il braccio destro di Filippo il Bello, che, appena nominato arcivescovo di Sens, condannò al rogo cinquantaquattro fratelli, il 10 maggio 1310 di fronte all’Abbazia di Sant’Antonio di Parigi, ritenuti relapsi, cioè eretici impenitenti, proprio perché avevano ritrattato le confessioni. Nonostante tutto, ancora nel 1312 al concilio di Vienne, convocato da Clemente V per prendere una decisione definitiva sull’ordine del Tempio, cominciarono ad arrivare diversi Templari superstiti che chiedevano di essere ascoltati in difesa del Tempio.
Il papa, temendo per certo che i padri conciliari avrebbero votato per l’assoluzione dell’ordine (era chiaro che i 4/5 dei presenti era contrario alla condanna), promulgò la Bolla Vox in excelso, con la quale, a causa dello scandalo, lo sopprimeva per decreto pontificio e senza condanna. Alla lettura pubblica in concilio della Bolla, con il papa in trono al fianco di Filippo il Bello, fu vietato l’intervento di chicchessia, pena l’immediata scomunica. Si può senz’altro dire che Clemente V soppresse l’ordine del Tempio, non per evitarne la condanna ma per evitarne l’assoluzione.

Termino questo scritto riportando un brano di una preghiera che un cavaliere Templare, Elia Aimery di Limoges, imprigionato, consegnò scritta ai commissari pontifici che lo interrogavano:
«[…] Oh Signore misericordiosissimo, il tuo ordine religioso – “di Cristo” infatti si chiama il Tempio –  che fu stabilito durante un Concilio generale in onore della beata e gloriosa Vergine Maria tua madre, e fu fondato dal beato San Bernardo tuo Confessore che fu scelto per questo compito e incarico della santa romana Chiesa, e che istruì e valutò il detto ordine insieme con altri uomini saggi e con il consiglio della beata e gloriosa Vergine Maria in onore della quale fu fondato, e che è stato catturato ed è tenuto prigioniero dal re dei Franchi per ingiusta causa, a richiesta della beata gloriosa Vergine tua madre e della società celeste, libera e proteggi i frati e beni, tu che sei la Verità, o Signore, e che sai che noi siamo innocenti, fa’ che siamo liberati, affinché possiamo attenerci ai nostri voti e ai tuoi comandi ed eseguiamo il tuo santo servizio e la tua volontà.
Ci hanno accusato di colpe – non vere – che abbiamo confessato a causa delle pesanti violenze, delle malvagie torture – ascolta le nostre suppliche! – che abbiamo patito, e per il timore della condanna del nostro corpo, e per tutte le cose che ci hanno detto da parte del signor papa. Per la debolezza della carne non possiamo sopportare oltre di rimanere incarcerati per sempre, nonostante le bugie dette con la bocca, con grande dolore, contro la nostra coscienza. E provvedi che noi, o Signore, e tutto il tuo popolo cristiano impariamo a fare la tua volontà».[19]

 Alessandro Mazzucchelli –2 gennaio 2019, festa di San Basilio il Grande


[1] Barbara Frale, Crimine di Stato. La diffamazione dei Templari, Giunti, Firenze 2014, p.20-22.

[2] Alain Demurger, Les templiers. Une chevalerie chrétienne au Moyen Age, Seuil (Points), Paris 2014, p.516-519.

[3] Barbara Frale, Crimine di Stato. La diffamazione dei Templari, Giunti, Firenze 2014, p.123.

[4] Alain Demurger, Jacques de Molay. Le crepuscule des Templiers. Petite Bibliothèque Payot, Paris 2014 (nuova edizione aggiornata e integrata dell’edizione del 2007), p.257.

Heinrich Finke, Papsttum un Untergang des Templerordens, Aschendorff, Münster 1907, vol. II, n° 69, AN, J 413, n° 37.

Il testo è tradotto da Georges Bordonove, La tragédie des Templiers, Pygmalion, Parsi 1993, p.178.

[5] Le lettere sono tratte dall’Archivio della Corona di Aragona e sono edite da Heinrich Finke, Papsttum un Untergang des Templerordens, Aschendorff, Münster 1907, vol. II, pp.110-111 e pp.114-119. Secondo Alain Demurger (Les Templiers, cit., p.444) si tratta di un chierico catalano residente a Parigi che scrive a un corrispondente anonimo di Maiorca. Barbara Frale, Il Papato e il processo ai Templari, Viella, Roma 2003, pp.99-100, che ritiene che il destinatario della missiva fosse re Giacomo II d’Aragona, traduce il testo in italiano e riporta integralmente l’originale in catalano a p.133, n.5.

[6] I cardinali sono Bérenger Frédol, nipote del papa, uno dei massimi esperti di diritto canonico, ed Etienne de Suisy, già Cancelliere di Francia. Il documento di cui si parla è la Bolla Pastoralis preminentia del 22 novembre 1307, con la quale il papa ordina a tutti i sovrani cattolici di arrestare i Templari e di confiscare i loro beni per conto della sede apostolica. Così facendo, Clemente da una parte chiede agli altri sovrani di fare quello che già aveva fatto re Filippo, assecondandone in qualche modo il colpo di mano, d’altra parte mostra al re che il Tempio è un ordine che dipende dalla sua autorità ed è diffuso in numerose nazioni d’Europa, oltre che in Oriente. Con questa Bolla inoltre, i due cardinali, che erano già stati inviati a Parigi subito dopo l’arresto dei Templari e non erano neanche stati ricevuti dal re, sono dotati di maggiori poteri: devono liberare i templari delle prigioni regie e condannarli, qualora li avessero giudicati colpevoli. Se però il re non volesse liberarli lo potranno scomunicare.

[7] Dopo questo primo incontro con i cardinali, Jacques de Molay, aiutato dal fratello Guy Dauphin, uno dei quattro templari a nome dei quali aveva confessato di fronte ai teologi della Sorbona, fece passare fra i confratelli prigionieri una tavoletta di cera, avvisandoli del fatto che saranno interrogati dai cardinali e che devono ritrattare.

Vedi Konrad Schottmuller, Der Untergang des Templer-Ordens mit unkundlichen und kritischen Besträgen. 2 voll., Berlin 1887, II, pag. 37.

[8] Barbara Frale, Crimine di Stato. La diffamazione dei Templari, Giunti, Firenze 2014, p.163.

[9]Articoli 418, 572 e 573 degli Statuti del Tempio, vedi Henri de Curzon, La Règle du Temple, Société de l’histoire de France, Paris 1886 (reimpr., Slatkine, Genève, 1977). Mi sono riferito all’edizione italiana a cura di Jose Vincenzo Molle, I Templari, la Regola e gli Statuti dell’ordine, ECIG, Genova 1994, pp. 154, 202-3.

[10] Barbara Frale, Crimine di Stato. La diffamazione dei Templari, Giunti, Firenze 2014, p.144.

[11] Articolo 138 degli Statuti del Tempio, vedi Henri de Curzon, La Règle du Temple, cit.; mi sono riferito all’edizione italiana a cura di Jose Vincenzo Molle, I Templari, la Regola e gli Statuti dell’ordine, cit., p.66.

[12] Citato in Barbara Frale, Crimine di Stato. La diffamazione dei Templari, Giunti, Firenze 2014, p.160.

[13] Citato in Barbara Frale, Crimine di Stato. La diffamazione dei Templari, Giunti, Firenze 2014, p.161-2.

[14] «Sequenti die aurora apparente, altis vocibus Baphometh invocaverunt ; et nos Deum nostrum in cordibus nostris deprecantes, impetum facientes in eos, de muris civitatis omnes expulimus» in Godefridi Bullonii Lotharingiae Ducis, Postmodum Hierosolymorum Regis Primi Epistolae Et Diplomata: Accedunt Appendices Amplissimae Monumenta Perplurima de Bello Sacro Complectentes in Patrologiae Cursus Completus, Series Secunda, Tomus Clv (Unicus): Saeculum XII, Editore: J.-P. Migne, 1854.

[15] Karen Ralls, Knights Templar Encyclopedia: The Essential Guide to the People, Places, Events, and Symbols of the Order of the Temple, Career Press, Pompton Plains 2007.

[16] Barbara Frale, L’ultima battaglia dei Templari. Dal codice ombra di obbedienza militare alla costruzione del processo per eresia, Viella, Roma 2001.

[17] Simonetta Cerrini, La Passione dei Templari, Mondadori, Milano 2016, pp.92-93.

[18] Jean Alexandre C. Buchon, (a cura di), Chronique métrique de Godefroy de Paris, suivie de La taille de Paris, en 1313… publiées pour la première fois d’après les manuscrits de la bibliothèque du Roi par J.-A. Buchon, Verdière, Paris 1827, pp. 143-145.

[19] Jules Michelet, Procès de templiers, voll. I-II, Les Editions du CTHS, Paris 1841-1851, ristampa Paris 1987, prefazione di Jean Favier, vol. I, pp.121-122, traduzione di Simonetta Cerrini, La Passione dei Templari, Mondadori, Milano 2016, p.239.

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